“Cinque maggio: Ei fu…”
Nell'anniversario della morte di Napoleone, il prof. Santoni ricorda un episodio storico del 1808 nelle campagne di Trecastelli
È difficile non ricordare Napoleone il 5 maggio, perché immortalato da una celebre ode civile di Alessandro Manzoni che quasi tutti hanno letto nelle scuole e qualcuno addirittura ha imparato a memoria.
La cosa strana davvero è ritrovare il suo busto in bronzo su una casa colonica, dove ha preso il posto della tradizionale immagine sacra. Si trova a Croce di Castel Colonna e forse risale proprio all’epoca della seconda occupazione francese dell’Italia e in particolare dello Stato Pontificio nel 1808, almeno questo è il mio pensiero.
Racconta infatti lo storico Vincenzo Palmesi nel suo manoscritto “Storia dei tre Castelli: Tomba di Senigallia, Ripe e Monterado” (Archivio Parrocchiale Ripe 1903, edito nella edizione critica in 2 volumi a cura di Giuseppe Santoni nei Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, n. 323/2020 e n. 324/2020) che correva l’anno 1808 quando, in piena estate, sabato 30 luglio, gli insorgenti antifrancesi di Ripe tentarono un’imboscata contro i dragoni Regina della cavalleria napoleonica che venivano da Senigallia per reprimere una sommossa scoppiata a Monterado un paio di giorni prima, il 28 luglio, e che si era estesa nei tre Castelli (Monterado, Tomba e Ripe). Il punto scelto dai rivoltosi di Ripe era strategicamente valido perché dall’alto della collina scelta per l’imboscata nei paraggi della chiesetta del Crocifisso si controllavano le tre strade che all’epoca conducevano dalla Bassa di Ripe al Castello: la strada comunale detta l’imbrecciata, la strada di San Pellegrino, che dalla strada per Corinaldo si inerpicava verso Ripe, congiungendosi con la strada di mezzo che saliva fino alla chiesa del Crocifisso dall’attuale via del Molino.
Non sappiamo quanti fossero gli insorti né come fossero armati, ma si può supporre che disponessero solo di qualche vecchio schioppo e di qualche fucile da caccia. Fatto sta che ebbero la peggio. Si legge infatti nel Registro VI dei Morti dell’archivio parrocchiale di Ripe: “Adi 30 luglio 1808. Sabato. Per sollevazione popolare in Monterado nelli 28 luglio, che venne ad allarmare anche questa campagna contro il governo, venuta la truppa da Siniga(llia) a reprimere il sollevamento e battutisi verso la Chiesa rurale del SS. Crocefisso e dalla parte de’ sollevati restando inseguiti quanti da Francesi erano incontrati, restarono uccisi sul momento…”. Segue un elenco con 8 nominativi di insorti uccisi che “furono sepolti sotto uno scavo nella detta Chiesa di Campagna”, ed un Dragone ucciso “fu sepolto nel Cemeterio di S. Pellegrino”. I rivoltosi morti però furono in totale 10 perché, “date e ripetute le fucilate” da una parte e dall’altra, altre due persone rimaste ferite gravemente durante lo scontro a fuoco, morirono poco dopo “nel letto” in casa loro, dove erano state invano soccorse.
A Monterado poi si contarono tra i rivoltosi altri 6 morti uccisi dai francesi. E non solo: al paese fu tolta la campane dalla torre municipale perché aveva dato il segnale d’avvio della rivolta. Il sindaco, che nel gennaio successivo 1809 ne chiedeva la restituzione, scriveva al prefetto francese che “La campana levata nello scaduto estate a questa Comune serviva in benefizio del popolo, specialmente di campagna, al quale colla medesima si accennava l’Ave Maria dell’Aurora, si dava il segno del mezzo giorno, e della prima Ave Maria della sera. Si suonava nella solennità del Protettore, ed in altre sacre funzioni, serviva ancora per uso alla Comune per chiamare li Consiglieri in tempo di Consigli che si celebravano nel governo passato, e nell’estate si suonava per tenere lontano anche le intemperie dell’aria”.
Invano, dunque, qualche zelante prete che faceva parte del Consiglio Comunale di Ripe tentò di far credere al miracolo, scrivendo nel registro comunale di Ripe del 1782 (a tergo dell’atto consiliare del 10 dicembre): “Nell’anno 1808, nella fine del mese di Luglio, quando le truppe francesi s’impossessarono dello stato pontificio, da Senigallia vennero in Ripe un buon numero di Dragoni Regina per fare strage della popolazione; per causa d’insurrezione, la detta Cavalleria fu costretta immediatamente retrocedere, non essendosi essa in nessun modo potuta avanzare, sebbene date e ripetute le fucilate, perché dicevano ‘essere impossibile il superare, e quindi vincere immensa truppa nemica’ che S. Pellegrino fece per singolare grazia comparire, mentre tutti gli abitanti erano fuggiti né si trovava alcuno in casa”.
Il dott. Palmesi che scoprì l’inganno commenta che “Questa leggenda io l’ho intesa raccontare anche da un mio colono”. Ma aggiunge di più, di avere lui stesso sentito raccontare da un tal Belardinelli di Montalboddo (Ostra), soprannominato il Cacino, che in quell’epoca militava in Spagna sotto le truppe imperiali francesi che venne letto alle truppe un ordine del giorno nel quale “si magnificava il valore addimostrato dalle truppe nella espugnazione dei tre forti Ripe, Tomba e Monterado”. Poiché il Cacino (Berardinelli) aveva detto ai compagni che i tre forti non erano altro che tre piccole borgate rurali indifese, fu minacciato di essere messo agli arresti.
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