La Liberazione di Corinaldo, la fine di una profanazione
La liberazione di Corinaldo: 10 agosto 1944, secondo i racconti una bella giornata di sole, preceduta da una notte di temporale, nella quale il fragore delle cannonate si mescolavano ai tuoni, i lampi alle fiammate dell’artiglieria.
A San Domenico, contrada di Corinaldo, i tedeschi hanno requisito bestiame e viveri dalle case contadine, come loro consuetudine, generando un disagio enorme, famiglie numerose che non avevano più di che sfamarsi, tenuto conto della difficoltà di rifornirsi nei mercati, in tempi di razionamenti.
Luglio, tempo di mietitura, fatta a mano fino all’arrivo delle mietitrebbie, grano falciato con la falce piccola o con la falce fienaia, poi raccolto in covi, piccoli fasci di grano legati con uno stelo di grano stesso, o, successivamente, con il filo di ferro. I covi venivano poi affastellati, secondo un preciso metodo, in piccole cataste dette cavalletti. Queste potevano essere di sette, nove o ventuno covi, andando a formare piccoli castelli dorati, assemblati secondo un sapere pratico sedimentato da molte generazioni, con le spighe rivolte al centro e uno i più covi messi di traverso sopra, a fare da “tetto”, in modo tale da favorire la massima protezione del grano in caso di pioggia. In attesa della trebbia.
Lavori cadenzati dalle stagioni, dal tempo le cui previsioni venivano effettuate tramite molteplici proverbi, osservazioni delle nuvole, ascolto del vento, lavori che iniziavano in concomitanza con festività di santi, un lavoro che è stato profanato dalle truppe naziste di occupazione.
Vicino al fiume Nevola, secondo il racconto di Giuseppe Spadoni, i covi sono stati presi e utilizzati per coprire piccoli cannoni, rendendoli invisibili ai nemici, fasci di grano usati per mimetizzare pezzi di artiglieria, puntati sulle colline verso Ostra, dove tra luglio e agosto furono avvistate truppe polacche, componente importante del vasto contingente militare alleato.
I tempi e i rituali del lavoro nei campi vengono sconvolti: covi lasciati nel campo a marcire anziché essere raccolti, perché le operazioni militari hanno impedito di trebbiare nei tempi giusti, i cavalletti guastati per nascondere meglio l’artiglieria, probabilmente piccoli micidiali cannoni anticarro.
Si è trattato di una profanazione, una violenza, che il 10 agosto, a Corinaldo, finisce, con la liberazione e il suono delle campane che doveva sembrare bello come la musica di un organo. Proprio a San Domenico, frazione di Corinaldo, il prossimo fine settimana si terrà l’ormai tradizionale rievocazione storica della trebbiatura, un momento per ricordare il lavoro dei campi, le sue difficoltà e le sue soddisfazioni.
Massimo Bellucci
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