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“Il Padre” di Zeller conquista Corinaldo: applausi a scena aperta

Il segreto del testo è nell’empatia: uno specchio dove tutti possono rivedere l’immagine riflessa delle proprie paure

"Il padre" a Corinaldo

Sono una mente che sta perdendo le foglie”, questo lampo di lucidità di Andrea racchiude il nucleo della guerra intestina che anima il personaggio interpretato da Haber: finisce con questo urlo soffocato da parte del protagonista la pièce “Il padre”. La porta della stanza si chiude, cala il nero sul palco, si riaccendono le luci in sala: il pubblico del Teatro Goldoni applaude, c’è chi si è alzato in piedi, in diversi hanno gli occhi lucidi, una ragazza della prima fila piange senza remore.

A chi si chiede quale sia il segreto che accompagna questo testo di Zeller che sta attraversando e conquistando lo stivale basterebbe far vedere gli ultimi minuti del dramma che si consuma sul palco e sulle poltrone tra il pubblico.

La trama è per certi versi, e si dimostra, uno specchio dove tutti possono rivedere l’immagine riflessa delle proprie paure e debolezze. Andrea inizia a palesare i primi segni del morbo di Alzheimer. Anna, sua figlia (interpretata da Lucrezia Lante Della Rovere), molto legata a lui, cerca di offrirgli un riparo: un ventaglio di soluzioni fatto di badanti prima, di condivisione dello stesso appartamento ed infine, l’ultima tappa, una casa di riposo. Tutto si svolge in un salotto minimal: un divano rosso, un tavolo, quattro sedie, un carrello di liquori ed una porta.

La genialità di “Il padre” è nella semplicità disarmante del portarti dentro la testa del protagonista che vede la sua vita, i sui ricordi e tutto il suo universo sgretolarsi, ingoiato dal nulla, dalla dimenticanza ed in questo processo di annientamento il vero dramma non è la perdita della coscienza, non è il buio che cala inesorabile, bensì la luce, gli attimi di lucidità danno al protagonista la percezione del dramma che si sta svolgendo.

E’ uno scivolare nell’oblio che parte da lontano: quando il sipario si apre sul palco ci sono Andrea e sua figlia, quest’ultima sembra stanca; si trova a dover rimettere insieme il puzzle dei ricordi del padre. In principio sono solamente i bordi a non esserci più: “Che ore sono, non trovo più il mio orologio”, poi i buchi si allargano, “Dov’è Elisa?Chi sei tu?” rivolto alla figlia. Lo spettatore si trova a dover cavalcare la follia di Andrea: vede con i suoi occhi, percepisce la realtà intorno con la sua stessa confusione.

I ricordi si accavallano, si mischiano, si confondono: i volti, i nomi, gli accadimenti si fondono facendo perdere la cognizione della realtà. Dove inizia il delirio, dove la realtà degli accadimenti? Andrea, nei barlumi di luce, si trova ad affrontare questa domanda senza riuscire a rispondere. Questo scivolare nell’oblio trascina con sé anche le persone a lui vicine: la figlia in primis, che vede giorno dopo giorno sgretolarsi l’immagine del padre in uno spegnersi al rallentatore che centellina il dolore di lei.

Il marito di Anna, che deve fare la spola tra l’esasperazione per questa convivenza forzata con Andrea ed il sostegno che sente di dovere alla sua compagna. In mezzo ci sono le infermiere, “coloro che si occupano degli altri” , che assistono con compassione materna al buco nero che sta inghiottendo Andrea fino alla scomparsa quasi definitiva della percezione di sé. L’emozione del palco passa come una scossa elettrica al pubblico in un finale catartico che lascia semi di domande pesanti come macigni di fronte a tematiche come l’amore filiale e genitoriale, la malattia ed il tempo inesorabile che passa. Haber nell’intervista prima dello spettacolo aveva detto sibillino: “Voglio lasciare uno spunto di riflessione, un turbamento”, obiettivo quanto mai centrato.

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